da danielegr » lun gen 09, 2017 13:53 pm
Avevo già parlato anni fa dei “nostro” rifugetto, il Tartaglione Crispo, la nostra casa, ora di proprietà privata. Ho ritrovato nella mia biblioteca il libro di Lorenzo Revojera “Studenti in Cordata” nel quale di narrano le storie delle varie SUCAI (Sottosezioni o Stazioni Universitarie del CAI), ma soprattutto la storia di quel rifugio, le sue vicissitudini fin dal 1937, e qui ne riporto alcuni brani. Forse sarà un po’ lungo, ma pazienza:
Storia di un rifugio
Fu un'avventura lunga sette anni, segnata da eventi
gioiosi e tristi, vissuta coralmente da tutto il gruppo, che
determinò una serie di amicizie incancellabili; nacque
da un sogno, quello di avere un rifugio tutto per noi,
una casa nostra per ritrovarci, cantare, discutere, pro-
gettare ascensioni e compierle.
Fin dall'aprile 1937 la Parravicini disponeva presso
Chiareggio di una baita in pietra, riattata e ampliata,
donata al CAI Milano dalla famiglia Lenatti di Chiesa
Valmalenco, e denominata in seguito "Rifugio Giovanni
Pigorini”, in memoria di uno studente milanese caduto
nel 1938 alla Cima Bureloni (Pale di San Martino); ma
l'abbandono causato dal periodo bellico l'aveva resa
inservibile. A seguito di formale richiesta del reggente
Sironi, il 29 settembre 1947 venne firmata una conven-
zione fra CAI Milano (presidente Mario Bello) e SUCAI
per affidare a quest'ultima la gestione del Pigorini. Il
sogno si concretizzava: la casa era stata trovata.
Non si dubitò mai che questa casa potesse esistere
altrove che a Chiareggio, luogo che faceva parte della
tradizione della Scuola Parravicini, nata e cresciuta li
dal 1936 in poi. I sucaini rimisero rapidamente in fun-
zione il rifugio; procurarono arredamento, batteria di
cucina, cuccette e brandine per diciotto ospiti, posateria,
tovaglie eccetera, trascorrendo al rifugio vacanze di la-
voro alternato ad arrampicate sui monti vicini. L'acqua
si prendeva dal vicino (ahimè, troppo vicino...) torrente
Sissone, sfociante tumultuoso dal ghiacciaio del Monte
Disgrazia, che con la sua parete nord domina imperio-
samente la zona sfolgorante di bellezza selvaggia. L'i-
naugurazione avvenne nell'ottobre 1948.
Il sogno durò poco: due anni. Nel settembre 1950
un'alluvione di colossale portata cancellò il rifugio,
provvidenzialmente in quel momento disabitato. Nes-
suna vittima. Le bombole di liquigas ricomparvero nel
fiume due chilometri a valle.
Le vittime purtroppo c'erano già state, ma altrove:
un mese prima due sucaini erano precipitati dalla via
Fehrmann al Campanile Basso: Luciano Tartaglione e
Luciano Crispo, studenti di ingegneria. Anno triste il 1950,
per la SUCAI di Milano.
In quest'occasione si toccò con mano quanto nei cuori
di noi ragazzi fosse profonda la convinzione di come
l'amicizia nata in montagna potesse portare lontano.
Decidemmo tutti insieme di costruire un rifugio nuo-
vo, sempre vicino a Chiareggio, da dedicare ai due ami-
ci scomparsi. Una nuova casa per i corsi della Parravici-
ni, per noi e per tutti quelli che condividevano il nostro
modo di intendere l'alpinismo, il nostro stile. I brandel-
li del sogno tornavano a ricomporsi.
Fu un'impresa dai contorni quasi irreali: un gruppo
di studenti, affiancati da qualche giovane laureato, che
si mette in testa di costruire un rifugio... qualche anzia-
no della sezione ci guardava con incredulità. Nella no-
stra placida incoscienza, eravamo sicuri di riuscirci, e la
certezza ci rendeva disinvolti, quasi sfrontati, al mo-
mento di chiedere soldi ai parenti, alle banche, agli stes-
si anziani che ci compativano...
Si operò una divisione del lavoro spontanea ma non
per questo meno efficace. Un sucaino ingegnere trovò
un collega che ci regalò il progetto; la famiglia Lenatti,
come aveva ceduto a suo tempo la baita, cedette il terre-
no, cento metri più in alto del distrutto Pigorini; un
futuro architetto si occupò di produrre alcune impor-
tanti parti in ferro in un suo laboratorio; le ragazze non
vollero una lira per confezionare tovaglie, tovaglioli,
tendine, asciugamani; cucina a legna, piatti, posate, pen-
tole vennero da diverse famiglie. I materassi in gomma-
piuma li donò la società Pirelli, le coperte erano targate
"Club Alpino Italiano”.
Ma essenziali erano i fondi per pagare l'impresa lo-
cale che, iniziati i lavori di muratura nell'estate 1952, li
completo nel 1953. La Provvidenza fece giungere un
cospicuo lascito testamentario a favore dei rifugi alpini;
la benevolenza del CAI Milano per i suoi studenti fece
il resto, destinando il fondo al nascente rifugio Tarta-
glione-Crispo.
Restava da posare tutto il rivestimento interno in
legno; inoltre si doveva trasportare l'intero arredamen-
to da Chiareggio - dove era immagazzinato - al rifugio.
L'estate 1953 fu di passione; mobilitammo tutte le
forze, organizzando viaggi in pullman a Chiareggio per
portar su quanti più sucaini e amici possibile, purché
disposti a caricarsi sulle spalle tavoli, sgabelli, arma-
dietti, fasci di “perline” (tavole di legno d'abete utilizza-
te come rivestimento), materassi, coperte e via dicendo.
Dal piazzaletto davanti al rifugio era quasi commovente
veder salire fra gli abeti questi manovali improvvisati
ma pieni di buona volontà, alle prese con oggetti lunghi
quattro metri (i suddetti fasci di perline e i tubi del-
l'acqua) che inevitabilmente andavano a sbattere contro
i tronchi.
Ad alcuni sembrò del tutto naturale trasferirsi per
una settimana nel rifugio incompiuto - dormendo a
terra nei sacchi a piuma - per fissare il rivestimento di
legno ai muri; in fondo, si trattava di casa nostra. Nel
pomeriggio si inchiodavano perline, ma al mattino si
partiva alle cinque per andare ad arrampicare alla Cima
di Valbona, al Pizzo Rachele, alla Cima del Duca. Il
dramma si presentava quando in cucina la pila dei piat-
ti sporchi raggiungeva il culmine; ci sembrò un miraco-
lo quando, una sera, spuntarono al rifugio quattro o cin-
que ragazze (sia benedetta la curiosità femminile...) che,
impietosite, si incaricarono del lavaggio.
Si lavorava duro, ma era una gran bella vita. l villeg-
gianti si passavano la voce e salivano apposta da Chia-
reggio per «vedere quei matti di studenti». Ci facevano
i complimenti, mentre noi ci davamo un'aria di finta
modestia e offrivamo un bicchiere di vino, secondo lo
stile della SUCAI.
lnaugurammo il rifugio l'11 luglio 1954; venti giorni
prima della storica conquista del K2. C'era Riccardo
Cassin, nella tenuta da rocciatore allora in voga (calzoni
alla zuava e giubbetto di velluto a coste); c'era Adrio
Casati, presidente della sezione di Milano e pure della
Provincia. Ne scrissero persino i quotidiani, inclusa “La
Gazzetta dello Sport”, con tanto di foto; il “Corriere
lombardo” titolo: Costruito dagli studenti come muratori e
architetti.
Da quell'anno il nuovo rifugio ospitò regolarmente i
corsi estivi di roccia e ghiaccio della Scuola Parravicini.
Nell'estate 1956 cominciò una nuova era per l'attrezza-
tura alpinistica: la scuola fu orgogliosa di far notare nel
programma che gli allievi sarebbero stati «dotati di mo-
derne corde di nailon». Nel 1960 fra gli allievi si conta-
rono cinque alpinisti di Madrid e Barcellona, fra cui
César Pérez de Tudela, che sarebbe diventato uno dei
più forti scalatori spagnoli. Nel 1961, vista la grande af-
fluenza di giovani che il rifugio registrava, fu costruita
un'ala aggiuntiva con una saletta e una camera per la
custode-cuoca, l'indimenticabile Celesta Schenatti.
Nel 1966, in occasione del trentesimo di fondazione,
fu murata sulla parete esterna una lapide commemora-
tiva: "1936-1966: trent'anni di attività per insegnare ai
giovani il vero alpinismo”. Alla cerimonia fu presente
una folla di istruttori ed ex istruttori: centocinquanta in
tutto, dicono le cronache.
A metà degli anni settanta la tecnica di insegnamen-
to si adeguò ai nuovi tempi e i corsi estivi della Parravi-
cini dal 1975 in poi si tennero in altre località alpine.