l'alpinismo d'antan - i miei ricordi

Arrampicata e alpinismo su roccia in montagna

Messaggioda poesis » lun dic 10, 2007 9:26 am

concordo anch'io ! è stupendo leggere queste pagine di vita vissuta e di amore per la montagna!
poesis
 
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Messaggioda danielegr » lun dic 10, 2007 13:43 pm

Una cosetta un po' stupida, ma così, tanto per gradire... Oggi nessun rocciatore si sognerebbe di iniziare un'arrampicata senza essersi protetto il capo con un casco adeguato. Il rischio di caduta sassi è infatti notevolissimo e parecchi alpinisti hanno avuto incidenti, anche mortali, per un sasso smosso da una cordata precedente, o comunque caduto.
Beh, ai miei tempi non era così: si arrampicava con beata incoscienza a testa nuda, al massimo con un berretto di lana che aveva la funzione di tenere al caldo la testa ma non certamente di riparare. Nei vecchi manuali di alpinismo veniva citato il rischio di caduta sassi, ma era considerato un rischio ineliminabile (va anche detto che allora c'erano molto meno alpinisti rispetto ad oggi, e quindi era minore il rischio di sassi smossi dalle cordate più in alto).
Cosa consigliavano quei manuali? Poco per la verità. Suggerivano di stare attenti, di ascoltare il rumore di eventuali cadute (e ci credo...), ammonivano a non smuovere sassi e, perlomeno, se se ne fosse smosso qualcuno a avvisare quelli di sotto urlando a squarciagola "sassoooooo..."
Suggerivano poi di addossarsi alla parete, di ripararsi sotto qualche sporgenza (non che fosse necessario un manuale per suggerire questi rimedi) e eventualmente di spostarsi proprio all'ultimo minuto, se non fosse stata possibile altra manovra. In merito consigliavano anche di allenarsi... facendosi bersagliare di sassi (piccoli, per fortuna) dagli amici ed abituandosi a scansarli proprio all'ultimo istante.
Avevamo però un amico che non era d'accordo su questo sistema. Aveva capito prima di noi che una protezione doveva esserci e, visto che non esistevano ancora i caschetti da arrampicata, aveva riciclato un vecchio casco da moto, che lo faceva sudare, però era già un inizio. Noi, naturalmente, lo prendevamo in giro e sghignazzavamo alla grande - lo chiamavamo "Testa di Casco" - però lui aveva visto lontano. Ciao Alberto.
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Messaggioda granparadiso » lun dic 10, 2007 14:56 pm

lo chiamavamo "Testa di Casco" - però lui aveva visto lontano. Ciao Alberto.




hehehehe........Testa di Casco....forte :!:


....si potrebbe dire......un precursore

...e anche furbo

:D :D


hehehehe......sto ridendo perche
me lo immagino attaccato in parete
con un testa un casco da moto

bellissimo... :smt081 :smt081 :smt081
babbo....
è....
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Messaggioda danielegr » gio dic 13, 2007 21:06 pm

Un breve escursus sui viaggi: ho già detto che per molti il treno o il pullman erano l'unico modo per arrivare alle montagne, e il resto a piedi, in particolar modo durante l'inverno. A volte le due cose si combinavano. Ricordo ancora la mia prima uscita con gli sci: treno da Milano, poi un autobus scassatissimo che ci portò a Campodolcino, da lì una funivia per l'Alpe Motta e lì il povero Daniele, per la prima volta in vita sua mise gli sci presi a noleggio. Quei disgraziati dei miei amici, che già sapevano sciare dissero: beh tu stai qui e vedi un po' cosa riesci a fare, noi andiamo a farci una bella sciata. Presero... udite udite lo SLITTONE!! Cioè una grossa slitta con le panchine trainata da un cavo di acciaio fino ad un montarozzo che sarà stato un centinaio di metri più in alto della partenza dello slittone.
Si, va bene, ma intanto che loro sciavano, io cosa potevo fare? Cadere naturalmente, e poi cadere e ricadere ancora. C'è anche da dire che non avevo (come quasi nessuno allora) un abbigliamento da sci: i pantaloni erano di lana, così il maglione e la giacca a vento chissà dove l'avevo recuperata.
Quindi, dopo le prime dieci o venti cadute e l'immane fatica di rialzarsi senza avere la minima idea di come si dovesse fare ero fradicio: un po' per il sudore e un po' per la neve che mi si appiccicava addosso.
E poi i disgraziati (parlo sempre dei miei cosiddetti amici) visto che ancora stranamente non mi ero rotto niente, pretesero che li seguissi sullo slittone.
Quella discesa (si fa per dire, forse era meglio parlare di "rotolata") me la ricordo ancora adesso nei miei incubi notturni.
Poi va bene nelle domeniche successive ho bene o male imparato un po' a sciare, e poi ero io che mi divertivo a mettere in difficoltà quei miei amici...
Ultima modifica di danielegr il dom dic 16, 2007 13:42 pm, modificato 1 volta in totale.
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Messaggioda Fritz » ven dic 14, 2007 17:17 pm

...comunque le Teste di Casco non finiscono mai: ho portato mio cugino a fare la cresta OSA e lui si è messo il casco della moto perchè non aveva ancora speso i soldi per un caschetto...eh eh

A proposito, interessantissimo sentirti raccontare le tue esperienze...e son contento che il mio primo messaggio sia qui!!! Già sono una new entry!! poi magari mi presenterò nel posto giusto...
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Messaggioda William » ven dic 14, 2007 17:33 pm

stupendo, bellissimo questo racconto!! :D
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Messaggioda scheggia97 » ven dic 14, 2007 18:20 pm

siamo in attesa della continuazione ....
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Messaggioda danielegr » ven dic 14, 2007 19:38 pm

La mia intenzione era di parlare dei mezzi di locomozione negli anni 50/60, poi però il racconto delle mie disavventure sciistiche mi ha preso la mano e non ho potuto fare a meno di raccontarle. Anzi, per completare l'argomento: Ci credereste che si riusciva anche ad andare a sciare... in moto? Proprio così: avevo cambiato la Lambretta con una Vespa e io e Alfredo abbiamo voluto provare. Io davanti a guidare e il povero Alfredo dietro che teneva gli sci di tutti e due, con la coda appoggiata sulla pedana della Vespa e le punte appoggiate sulle spalle. Partenza all'alba da Milano, destinazione i Piani di Bobbio.
Prima tappa a Lecco: ho quasi dovuto schiodare Alfredo dal sellino: era praticamente anchilosato in quella posizione innaturale e intirizzito dal freddo (io almeno avevo il parabrezza, lui, poveraccio, dovendo tenere con le mani gli sci era costretto ad avere al vento le mani e la faccia. Come abbia fatto poi a stare in equilibrio in quella posizione me lo domando ancora adesso)
In seguito ci siamo evoluti: con della bandella in ferro abbiamo costruito dei rudimentali portasci che erano appoggiati alla pedana della Vespa e gli sci per il lungo erano legati a quel cosiddetto portasci. Non ricordo assolutamente il sistema di fissaggio del portasci alla Vespa, però funzionava. E' vero che la Vespa risultava più larga del normale, però bastava farci l'abitudine e si riusciva ad andare lo stesso.
Non credo proprio che l'allora vigente Codice della Strada ammettesse uno scempio come quello che avevamo fatto noi: sta di fatto però che o il nostro stellone non ci ha mai fatto incontrare la Polizia Stradale, opuure ci hanno incontrato e sono ancora lì che stanno ridendo...

Ecco, così neanche oggi ho parlato dei mezzi di trasporto per andare a sciare. Sarà per la prossima volta
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Messaggioda danielegr » ven dic 21, 2007 20:57 pm

Già, proprio i mezzi di trasporto per andare a sciare? Ma il pullman, naturalmente. Quasi tutte le società sportive che avevano un minimo di relazione con la montagna in inverno organizzavano il loro bravo pullman. E' appena il caso di dire che le settimane bianche non avevano ancora preso piede, quelle sono nate un po' dopo.
Quindi il Pullman: la sezione Sci del Club Alpino di Milano ne organizzava due: sul numero "1" tradizionalmente andavano le persone meno giovani, quelle che volevano stare tranquille, magari schiacciare un pisolino durante il viaggio (la partenza di solito era tra le quattro e le cinque) e sul secondo pullman andavano gli scatenati, come noi. Sul pullmann "2" era impossibile dormire: era impossibile per i continui canti, per le visite che ci si scambiava da un sedile all'altro, e per tutto il casino che si riusciva a fare...
Si arrivava al posto prescelto intorno alle nove, e via di corsa verso le piste: ci si faceva un punto d'onore di "sfruttare il giornaliero". Cioè: si comprava l'abbonamento giornaliero e non si smetteva di sciare finchè non si era abbondantemente superato il suo costo, calcolando il prezzo delle risalite singole. Se non si fosse riusciti a "sfruttarlo" sarebbe stata un'onta imperdonabile.
La ripartenza avveniva fra le cinque e le sei: giusto in tempo per fare l'ultima discesa quando ancora c'era un po' di chiaro.
Il ritorno avveniva all'insegna del vino... La stanchezza contava poco: bisognava stare a raccontarsi tutto, passarsi il bottiglione o il fiasco (il bicchiere era una raffinatezza a noi sconosciuta). Qualcuno (molti, per la verità) approfittava del viaggio di ritorno per combinare qualcosina con la sua ragazza (non pensate a cose complicate: al massimo qualche toccatina...). Qualche volta il pullman all'unanimità assegnava il premio del "limon d'oro" alla coppia che sembrava che si fosse data più da fare...
Al ritorno a Milano erano già le nove o le dieci: si sperava di trovare un tram, altrimenti, sci in spalla e via camminando...
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Messaggioda Saint Bernard » sab dic 22, 2007 2:57 am

Ti stiamo seguendo... è bello come un sogno bello! GRazie!

Buon Natale e tanti begli Anni Nuovi! :smt038
Non cedere mai, perchè potresti farlo proprio un attimo prima che capiti un miracolo!
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Messaggioda danielegr » sab dic 22, 2007 21:07 pm

Ringrazio sentitamente per gli auguri e li faccio a mia volta a tutti i frequentatori di questo Forum e a tutti gli alpinisti, almeno a quelli degni di questo nome (scusate la punta polemica...)

Qualche cenno sulle salite più comuni ?ai miei tempi...?
Non si usavano le palestre: me ne ricordo solo una in Milano, dalle parti del Politecnico. Mi pare che fosse in un locale adiacente ad una chiesa. Ci sono andato solo un paio di volte con il mio usuale compagno di ascensioni. L'allenamento lo facevamo direttamente in Grigna, talvolta sul Resegone. In Resegone le mete preferite erano la Torre Elisabetta e la Torre CAI, salite abbastanza simpatiche, non molto frequentate, che permettevano di sciogliere un po' i muscoli in vista delle successive salite più impegnative. In Grigna c'era maggiore libertà di scelta: dai Magnaghi al Sigaro, all'Angelina (mi piaceva particolarmente la Via Polvara) al Clerici, al Casati, al Fungo e chi più ne ha più ne metta. Quando l'allenamento incominciava ad esserci, non poteva mancare il Medale. Naturalmente il Nibbio occupava parte del nostro tempo: dal camino Mosca allo spigolo e alla Cassin. Proprio sul Nibbio mi sono presa una storta alla caviglia che mi ha costretto a stare ingessato per alcune settimane: scendevamo di corsa, un sasso mi si è girato sotto al piede e sono caduto come un ?perignocco?.
Ma le salite più belle venivano dopo: a parte il periodo delle ferie, dalla seconda metà di Giugno di solito era possibile andare in Val Masino. Sarà che mi ricorda la mia gioventù, ma per me la Val Masino è una delle più belle valli del mondo.
Quante salite belle in quella zona... Una di quelle che più mi ricordo è forse la più facile, ma mi aveva entusiasmato: la cresta della Punta Sertori (mi raccomando: Sertòri e non Sèrtori come spesso viene detto) Una salita entusiasmante, intorno al terzo grado (secondo la classificazione in uso allora) ma bella, veramente bella. Il passaggio su una crestina pressochè orizzontale, molto esposta, da fare in Dulfer - poco meno di un tiro di corda - su roccia sanissima era entusiasmante...
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Messaggioda danielegr » lun dic 24, 2007 9:28 am

Mi riallaccio al discorso sui mezzi di trasporto che si usavano per andare a sciare. Mi è venuto in mente un aneddoto per il quale ancora mi vergogno...
Come avevo già detto, il pullman era il mezzo di trasporto principe, nel quale si cantava, si fumava (sì, proprio, si fumava come turchi e stranamente nessuno protestava...) si beveva, soprattutto al ritorno ma qualche trincatina anche all'andata ci scappava. Il viaggio logicamente era lunghetto, quattro ore o anche cinque ci volevano tutte. Le esigenze ?idrauliche? (leggete pure: pipì...) venivano soddisfatte durante la breve sosta a metà strada. Poteva però capitare che per la brevità della sosta, o perchè ci si era attardati al bar, o perché i servizi erano insufficienti per far fronte a due pullman nel quarto d'ora previsto per la sosta qualcuno dovesse ?saltare? il suo turno...
E va bene... è capitato anche a me. Stavamo andando al Bondone, sopra Trento e quando mancava ancora un po' all'arrivo ho incominciato a sentire che forse sarebbe stato meglio non saltare il turno
Dopo un po', non ce la facevo più... D'altronde cosa fare? Incominciavo ad agitarmi come un invasato, avevo paura di farmela addosso, non ce la facevo proprio più... Un mio amico va a chiedere all'autista di fermarsi un momento, ma l'autista fa notare che non è possibile fermare un pullman in una strada stretta e fiancheggiata da cumuli di neve che ne riducono ancora l'ampiezza.
Bisogna aspettare... Io intanto fumavo come un turco per cercare di dimenticare i miei problemi...
Finalmente l'autista trova uno slargo nel quale può fermarsi, e io corro giù come un matto. Però...
ahi ahi ahi, non riesco a farla: il trattenerla per tanto tempo mi aveva probabilmente bloccato i muscoli o sa Dio che cosa. Io, davanti a un mucchio di neve, con tutto il pullman che mi incitava e faceva psss... psss... non sapevo più se sparire tuffandomi nella neve o se sparire per sempre da questo mondo perverso... finchè finalmente ci sono riuscito e sono risalito sul pullman fra gli applausi, rosso come un peperone.
Mio Dio, che vergogna...
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Messaggioda dori » lun dic 24, 2007 23:34 pm

ciao daniele,
che bello questo topic....è come la storie intorno al fuoco di nonna papera....
l'ho scoperto solo l'altroieri e ho deciso di leggere un post al giorno, un pezzo della tua vita per volta...per farlo durare il più a lungo possibile...
però stasera sono molto triste, quindi mi regalerò la lettura tutti i tuoi post in una volta sola. immaginando che tu me li stia raccontando di persona, in rifugio o in piola davanti ad un buon genepy (quello buono raccolto in quota ne'??).
io ho appena cominciato ad avvicinarmi alla montagna e le tue parole sono un ulteriore stimolo per andare avanti, riesci a trasmettermi tanta felicità.

grazie. mi hai salvato la serata.
e per favore, non smettere di scrivere.
sappiamo di arrampicare per esistere, per conservare la nostra anima, per vedere come siamo fatti, per cercare il senso della vita, per restare, ancora, con i piedi per terra e la testa tra le nuvole.
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Messaggioda granparadiso » mar dic 25, 2007 1:50 am

dori ha scritto:ciao daniele,
che bello questo topic....è come la storie intorno al fuoco di nonna papera....
l'ho scoperto solo l'altroieri e ho deciso di leggere un post al giorno, un pezzo della tua vita per volta...per farlo durare il più a lungo possibile...
però stasera sono molto triste, quindi mi regalerò la lettura tutti i tuoi post in una volta sola. immaginando che tu me li stia raccontando di persona, in rifugio o in piola davanti ad un buon genepy (quello buono raccolto in quota ne'??).
io ho appena cominciato ad avvicinarmi alla montagna e le tue parole sono un ulteriore stimolo per andare avanti, riesci a trasmettermi tanta felicità.

grazie. mi hai salvato la serata.
e per favore, non smettere di scrivere.





......belle le storie di
danielegr vero?

mi sembra di essere sempre lassù.......
trà i monti...........
cosa che fisicamente non posso provare quanto vorrei :(

bella senzazione.......

grazie danielegr............!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
babbo....
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Messaggioda danielegr » gio dic 27, 2007 15:08 pm

Vorrei fare qualche breve cenno sulle mie prime salite: non si può ancora parlare di alpinismo, ma solamente di gite in montagna. La prima che ricordo è stata una camminata verso i Laghi Gemelli, nel Bergamasco. Non mi ricordo proprio niente di quella gita, salvo il fatto che pioveva che Dio la mandava e che, proprio per la pioggia, siamo tornati indietro senza arrivare alla meta. Una faticata e basta. Più importante certamente, anzi, molto più importante è stata la seconda gita. Con la mia Lambrettina io e un collega d'ufficio dalla notevole stazza siamo andati in Valfurva.
La Lambretta fra me, il maxi-collega e gli zaini faceva quello che poteva, ma chiederle di affrontare la mulattiera che porta all'Albergo dei Forni era veramente troppo. Quindi la lasciamo subito dopo Santa Caterina e, gambe in spalla, partiamo. Dopo l'Albergo dei Forni, un'oretta di marcia, puntiamo verso il rifugio Pizzini e lì c'è stata la Grande Rivelazione: la MONTAGNA!! Quella vera non i mucchi di terra che fino a quel momento avevo praticato. Vedere il Gran Zebrù, l'Ortles, il Cevedale, Cima Venezia, tutte le montagne intorno alla Val furva è stata la folgorazione più intensa che avessi mai ricevuto. Quando sono tornato a casa ero un altro uomo.
Da quel momento è iniziato il periodo più strano e anche più pericoloso della mia vita d'alpinista.
Pretendevo di andare ad arrampicare senza avere la minima preparazione né pratica né teorica e senza usare un equipaggiamento adatto. Le scarpe, per esempio: erano in sostanza delle vecchie ?pedule? che avevano la suola di gomma, ma certamente non erano adatte ad una marcia su terreni sconnessi e meno che meno su un nevaio.
Comunque, con un equipaggiamento molto approssimativo, senza una minima preparazione, con una beata incoscienza e senza sapere niente di sicurezza (sapevamo solo che la corda serviva, ma non ne comprendevamo l'uso corretto) ma, per fortuna, con un angelo custode molto attento ed efficiente cominciai le prime esperienze di roccia. Le prime ?arrampicate? (chiamiamole pure così...) le feci ai Piani di Bobbio, sullo Zuccone di Campelli. La salita fu facile: un canalone e le ultime roccette della cresta Ongania. Esaltati dalla facilità con la quale eravamo arrivati in vetta decidemmo di scendere per un'altra strada: avevamo visto una serie di camini che sembrava arrivare fino alla base e ci avventurammo su di essi (la prima forse fra le tante stupidaggini che poi ho fatto in quel periodo). Però il mio angelo custode ebbe un attimo di distrazione: presi come appiglio un sasso che mi sembrava solido, e invece non lo era. Risultato: caduta per due/tre metri e distorsione a una caviglia, con un male cane ad appoggiarla.
Il seguito, sempre che interessi, lo racconterò un altro giorno.
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Messaggioda piobis » gio dic 27, 2007 16:05 pm

Ciao Daniele, sono appena entrata in questo forum e dopo aver letto il primo racconto hai subito conquistato tutta la mia ttenzione, attendo impaziente la prosecuzione del tuo racconto, ma volevo porti una domanda prendendo spunto da una sottile vena polemica di un tuo post (perdonatemi l'ingenuità della domanda, ma è da un po' che me lo chiedo...): cosa rende uno che va in montagna un vero alpinista? Cioè qual'è la differenza tra l'alpinista e chi non lo è?

:roll:
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Messaggioda danielegr » gio dic 27, 2007 16:26 pm

piobis ha scritto:Ciao Daniele, sono appena entrata in questo forum e dopo aver letto il primo racconto hai subito conquistato tutta la mia ttenzione, attendo impaziente la prosecuzione del tuo racconto, ma volevo porti una domanda prendendo spunto da una sottile vena polemica di un tuo post (perdonatemi l'ingenuità della domanda, ma è da un po' che me lo chiedo...): cosa rende uno che va in montagna un vero alpinista? Cioè qual'è la differenza tra l'alpinista e chi non lo è?

:roll:

Hai fatto una domanda da niente... Ognuno, naturalmente, ha i suoi parametri e giudica come preferisce, io giudico così:
- chi va in montagna perché ama la montagna, perché lì si trova in pace con sé stesso, perché sente che questo gli porta una elevazione spirituale ecc. ecc. è un ALPINISTA. Sia che sulla Montagna ci sia arrivato arrampicando per una parete di sesto grado sia per un sentiero battuto. E' un alpinista anche quello che quel giorno rinuncia ad una salita che pure aveva in programma perchè poco sopra il rifugio trova un bel prato fiorito e un panorama meraviglioso che sarebbe un peccato abbandonare.
E' un alpinista anche quello che, non avendo più la capacità fisica arriva al passo con la macchina, e lì si ferma per mezz'ora a guardare le cime intorno e a sognare...

- gi altri, quelli che non sanno o non vogliono entrare nello spirito della montagna, che magari si vantano di essere riusciti ad arrampicarsi su una parete liscia (che sia una parete di montagna o di un grattacielo cambia poco) usando duecento chiodi, quelli per me non sono alpinisti. Sono degli sportivi, categoria rispettabilissima, ma l'Alpinista è un'altra cosa.

Questo, almeno è il mio parere e non pretendo che venga condiviso da tutti
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Messaggioda granparadiso » gio dic 27, 2007 17:03 pm

danielegr ha scritto:
piobis ha scritto:Ciao Daniele, sono appena entrata in questo forum e dopo aver letto il primo racconto hai subito conquistato tutta la mia ttenzione, attendo impaziente la prosecuzione del tuo racconto, ma volevo porti una domanda prendendo spunto da una sottile vena polemica di un tuo post (perdonatemi l'ingenuità della domanda, ma è da un po' che me lo chiedo...): cosa rende uno che va in montagna un vero alpinista? Cioè qual'è la differenza tra l'alpinista e chi non lo è?

:roll:

Hai fatto una domanda da niente... Ognuno, naturalmente, ha i suoi parametri e giudica come preferisce, io giudico così:
- chi va in montagna perché ama la montagna, perché lì si trova in pace con sé stesso, perché sente che questo gli porta una elevazione spirituale ecc. ecc. è un ALPINISTA. Sia che sulla Montagna ci sia arrivato arrampicando per una parete di sesto grado sia per un sentiero battuto. E' un alpinista anche quello che quel giorno rinuncia ad una salita che pure aveva in programma perchè poco sopra il rifugio trova un bel prato fiorito e un panorama meraviglioso che sarebbe un peccato abbandonare.
E' un alpinista anche quello che, non avendo più la capacità fisica arriva al passo con la macchina, e lì si ferma per mezz'ora a guardare le cime intorno e a sognare...

- gi altri, quelli che non sanno o non vogliono entrare nello spirito della montagna, che magari si vantano di essere riusciti ad arrampicarsi su una parete liscia (che sia una parete di montagna o di un grattacielo cambia poco) usando duecento chiodi, quelli per me non sono alpinisti. Sono degli sportivi, categoria rispettabilissima, ma l'Alpinista è un'altra cosa.

Questo, almeno è il mio parere e non pretendo che venga condiviso da tutti




sono tornato adesso dalla montagna.....la mia montagna!
mi son fatto 600 m. di dislivello dentro un vallone
che d'estate c'è un sentiero........."sentiero" per dire...
è una pietraia spacca caviglie che è difficile da descrivere :roll:
fortunatamente con la neve come oggi è molto piu agevole
arrivo al rifugio incustodito.........
mangio qualcosa,mi riposo un pò e riparto per la cima
arranco per un buon 45'
a mezza salita entro in una "bufera" vento FORTISSIMO da NORD
si abbassa la nebbia........
la nebbia con il freddo ghiaccia....comincia una cura di agopuntura
sulla faccia che non vi dico.....è buio....è diventato buio in 5'
che faccio :roll: :?:
sono da solo la neve quassu è completamente dura e giacciata
la pendenza del terreno è notevole (non so i gradi ma garantisco
che se ti parte un piede ti fai 300m in un batter d'occhi)
non ho ramponi ne piccozza solo i bastoncini.....
mi fermo......penso....... :-k

.....ma sai che ti dico :?:

.........torno indietro
tanto non è la prima volta che ci vado........e non sarà l'ultima :!:

torno al rifugio mi faccio un thè
accendo il fuoco e me ne sto tranquillo per un pò a scaldarmi
aspettando di tornare alla macchina
e poi a casa.

oggi sono stato veramente bene!!!!!

da solo......sulla mia montagna!!!!!!!!!


come mi posso definire danielegr :?:

:D

:smt039
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Messaggioda piobis » ven dic 28, 2007 18:12 pm

Danielegr quand'è che ci scrivi un altro dei tuoi racconti???
dai dai dai...
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Messaggioda danielegr » ven dic 28, 2007 20:19 pm

Riprendo la mia disavventura sullo Zuccone di Campelli: la fortuna ci ha aiutato, il sistema di camini arrivava fino alla base della parete. E' stata una delle prime lezioni che ho imparato: la discesa non la puoi valutare bene dall'alto, non puoi soprattutto capire le difficoltà alle quali vai incontro e se la vie "esce" veso il basso. Certamente, con una corda doppia si possono risolvere tanti problemi, ma noi allora, e questo torna a tutto nostro disdoro, non solo non avremmo saputo fare una corda doppia, ma non avevamo neanche una corda degna di questo nome.
La caviglia mi faceva male, però finchè si era sulla roccia, appoggiando il piede sull'appoggio con molta cautela il dolore era sopportabile, d'altronde bisognava pur scendere in qualche modo. Il problema diventò più grave quando si arrivò (finalmente!) alla base della parete: lì c'erano dei ghiaioni da scendere, del terreno sconnesso e per di più stava diventando buio. Avevamo una idea abbastanza precisa sulla strada da seguire per arrivare alla seggiovia, sperando che fosse ancora in funzione, e ci avventurammo, io e il mio amico, verso la stazione più a monte (la seggiovia era in due tronconi). Ci arrivammo che era logicamente già chiusa e incominciammo la discesa del primo troncone, che sembrava abbastanza semplice. Sembrava, ma non lo era, o almeno non lo era per uno che aveva una distorsione alla caviglia. Come Dio volle arrivammo alla stazione di mezzo, ma lì io non ce la facevo più: la caviglia faceva un male cane e il secondo pezzo sembrava molto più complicato del primo. Mi dovevo fermare per forza: trovai nella stazione di mezzo della seggiovia un angolino riparato dal vento e mi misi lì ad aspettare, mentre il mio amico correva alla stazione di partenza per chiedere aiuto. Dopo un paio d'ore arrivò uno degli inservienti della seggiovia, che mi fece entrare in un locale nel quale c'era perfino un letto!! Al mattino dopo, rimessa in moto la seggiovia, potei tornare ai Piani di Bobbio e poi con la moto a casa. La caviglia mi venne immobilizzata dal medico (non ingessata: fece una strana imbragatura con del cartone e la bendò)
Ovviamente niente lavoro e riposo a letto per un paio di settimane. Mi servirono per preparare l'esame di Diritto Privato (promosso con 22/30...)
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