l'alpinismo d'antan - i miei ricordi

Arrampicata e alpinismo su roccia in montagna

Messaggioda danielegr » mar giu 15, 2010 12:59 pm

Ho casualmente trovato su Youtube queste interviste a alpinisti della generazione precedente alla mia: alcuni li ho conosciuti di persona, ma non ho mai avuto il piacere di arrampicare insieme.

http://www.youtube.com/watch?v=BjExkurVqG8

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=BjExkurVqG8[/youtube]

Le credo molto più interessanti di quello che ogni tanto scrivo io (comunque non smetto di scrivere, almeno fino a che non mi cacciate via)

Non capisco perchè non funzioni il link, comunque quello sopra sembra che vada.
Avatar utente
danielegr
 
Messaggi: 293
Images: 40
Iscritto il: ven nov 30, 2007 20:13 pm
Località: 43 54 26,81N 7 56 25,35E Altitudine 184 m.

Messaggioda danielegr » sab giu 19, 2010 12:22 pm

Mi riesce difficile fare una cronologia attendibile delle mie ?imprese? alpinistiche, del resto anche negli altri campi mi attengo a pochi punti fissi (matrimonio, nascita dei figli e simili) per stabilire se un avvenimento è stato precedente o successivo ad un altro. Quindi è facile che certe cose che dico che sono avvenute, ad esempio, nel 1959 siano in realtà precedenti o successive di un paio d'anni.
Tutto questo preambolo soltanto per dire che assolutamente non ricordo la data della mia prima salita sul Campanile Basso. Sarà stato forse il 1959, probabilmente in quell'anno avevo appena frequentato la Scuola Parravicini.
Con un mio amico, lo stesso della discesa in corda doppia in costume da bagno e della mia mega-scottatura sul ghiacciaio del Ventina volemmo tentare un vecchio sogno: le Dolomiti del Brenta.
Arrivammo al rifugio Pedrotti, sulla Bocca di Brenta (accidenti come è ripido l'ultimo tratto!!). E' stato proprio in quell'occasione che vidi per la prima volta lo spigolo del Crozzon, uno dei miei sogni non realizzati.
Il rifugio era condotto, se ricordo bene il nome, da Dallagiacoma, nota guida della zona. Aveva una figlia (Erika) alla quale sia io che il mio amico tentammo di fare un po' di corte, ovviamente senza il minimo successo. Tutto quello che ottenemmo fu un suo autografo su una cartolina del rifugio...
Al Rifugio ci trovammo allo stesso tavolo con Cesare Maestri: noi eravamo intimoriti davanti a quel ?mostro sacro?, ma lui, che come uomo non era certo inferiore all'alpinista, ci trattò come amici, come se ci fossimo sempre conosciuti, chiacchierò con noi, ci diede consigli sulla via che avremmo voluto tentare il giorno dopo: non solo, ma siccome lui voleva fare una via della quale non ricordo il nome (Armani, forse?) sulla parete sud del Campanile si offrì di accompagnarci in modo di poterci indicare l'attacco della normale.
Infatti il giorno dopo facemmo insieme il sentiero delle Bocchette e, più o meno verso metà, Maestri ci mostrò una cosa che non avevo mai visto in precedenza: incassata in una fessura c'era una lattina, probabilmente delle carne Simmenthal o qualcosa di simile, piena d'acqua freschissima. Gocciolava infatti dalla parete una sottile vena d'acqua. Maestri ne bevve un sorso, poi la passò a noi raccomandandoci di rimettere la lattina esattamente dove l'avevamo trovata. Così, ci disse, avrebbe continuato ad essere colma per quelli che fossero passati di lì dopo di noi, e inoltre non si sarebbe arrugginita.
Ci indicò l'attacco (della normale, naturalmente), ci diede altre informazioni sulla via e poi lui partì per la sua via e noi ci trovammo alla base della parete Pooli. E' inutile che racconti lo svolgimento della salita, immagino che la conoscano un po' tutti, e poi sarebbe poco interessante. Ricordo solo che la parete Ampferer non mi sembrò assolutamente così difficile. In cima c'era allora il libro di vetta con la numerazione delle salite: mi piacerebbe ricordare il numero della nostra, probabilmente era intorno al 2400.
Negli anni successivi ebbi modo ripetere diverse volte quella salita e la trovai sempre entusiasmante. Mi sarebbe piaciuto poter tentare la via Ferhmann ma non ebbi mai occasione. Un po' forse mi frenava il sapere che Franco, un mio amico e collega era qualche anno prima volato, proprio sulla Ferhmann facendosi parecchio male e che da quel momento non era più andato in roccia.
Avatar utente
danielegr
 
Messaggi: 293
Images: 40
Iscritto il: ven nov 30, 2007 20:13 pm
Località: 43 54 26,81N 7 56 25,35E Altitudine 184 m.

Messaggioda danielegr » sab lug 03, 2010 9:00 am

E vai con le malinconie: un paio d'anni fa ho casualmente ritrovato una mia vecchia agendina del 1970 o forse prima. Sfogliandola ho rivisto qualche nome di vecchi amici con i quali non ho più contatti, ma uno in particolare mi ha colpito, Zygmunt Fuhrman, che era stato con me istruttore di roccia alla Parravicini
Quasi quasi gli telefono, mi sono detto: ma non l'ho fatto subito. Prima ho voluto fare una ricerchina su Google, tanto per vedere se c'era qualcosa di interessante. Purtroppo c'era. Zygmunt pur non avendo smesso di andare in montagna, si era dedicato alle immersioni in mare, diventando, oltre che un istruttore FIAS, anche un tecnico di altissimo livello per le bombole. Aveva scritto diversi trattati sull'uso dei vari sistemi, aria, ossigeno o altro. All'età di 75 anni, ne aveva tre o quattro più di me, è andato come sempre a farsi una nuotata, senza neanche avere la pretesa di immergersi molto. Ha avuto un malore, forse un infarto, ed è morto in acqua. http://www.fias.it/index.php?option=com ... Itemid=109 e anche
http://it.narkive.com/2008/7/9/5640667- ... ciati.html
Il tutto, ironia della sorte, a una trentina di chilometri da casa mia.
L'articolo che ho linkato ha un paio di inesattezze: era polacco di nascita, ma quando lo conobbi io era apolide: non conosco esattamente il motivo di questa sua mancanza di nazionalità. Credo che alla fine sia riuscito ad avere la cittadinanza italiana, cosa che non era ancora stata ottenuta alla fine degli anni 60. E non era normalmente emigrato in Italia: il suo popolo, la sua famiglia era stata sterminata durante la guerra dai tedeschi . Quindi da bambino, dieci anni o poco più, era riuscito a scappare e a rifugiarsi in Italia, fuggendo da una città oramai piena solo di cadaveri e di edifici distrutti. Non parlava volentieri di questi fatti, qualche parola ogni tanto dalle quali capivamo le ragioni del suo odio verso i tedeschi, tutti indistintamente, anche quelli che, per età o altro non c'entravano niente.
Capitava, e credo che capiti ancora, di incontrare in montagna frotte di tedeschi: come li sentiva parlare gli si vedeva quasi drizzare il pelo...
Se però c'era da aiutare qualcuno, anche tedesco, era in prima linea, poi però restava di umore cattivo per tutta la giornata.
Ciao Zyg.
Avatar utente
danielegr
 
Messaggi: 293
Images: 40
Iscritto il: ven nov 30, 2007 20:13 pm
Località: 43 54 26,81N 7 56 25,35E Altitudine 184 m.

Messaggioda danielegr » mer lug 07, 2010 16:15 pm

Non mi vanto di questo, adesso che sono vecchio, ma son contento di averlo fatto quando ero giovane, quindi per oggi niente malinconie né commemorazione di amici che sono caduti: parlerò di una delle tante stupidaggini che si fanno a vent'anni o giù di lì. Noi della sottosezione SUCAI formavamo un gruppetto ben affiatato e incline agli scherzi. Eravamo anche come SUCAI i depositari di uno dei simboli del Club Alpino, un'aquila impagliata che aveva visto tempi molto migliori. Era oramai parecchio spennacchiata e aveva perso tutta la maestà che avrebbe dovuto avere in quanto simbolo della montagna. Oltre a tutto ogni tanto bisognava spolverarla e noi incominciavamo ad essere un po' stufi di averla. E poi già la nostra stanzetta era parecchio piccola, doverla dividere anche con quella bestiaccia che teneva le ali spiegate appollaiata sul suo trespolo diventava complicato. Quindi una bella sera, i fratelli Angelo e Beppe, io e un paio d'altri abbiamo deciso di disfarcene. Innanzi tutto bisognava riuscire a svignarsela con l'aquila in braccio senza farsi notare (Il segretario della Sezione CAI di Milano, Gildone era sempre di vedetta e non era facile fargliela). In qualche modo che non ricordo però ce l'avevamo fatta: e raggiungiamo la strada, la via Silvio Pellico a Milano, via molto frequentata anche dai vigili. Nessuno si meraviglia più di tanto per l'uccellaccio che ci portavamo dietro e riusciamo ad arrivare alla macchina di uno di noi, forse Angelo. C'è da dire che in quegli anni non era difficile riuscire a parcheggiare un'auto in via Pellico, a un passo da Piazza del Duomo e comunicante con la Galleria, quindi avremo percorso pochi metri con quell'imbarazzante trofeo in mano.
E adesso che abbiamo la macchina, la bestia e siamo tutti qui, che facciamo? Ma è logico, il ?puttan-tour?. Così quando troviamo qualche ragazza di vita le chiediamo se vuole vedere l'ucc.... Va beh, sto andando nel volgarotto, scusatemi, ma tanto avrete capito benissimo quello che volevamo fare (e che abbiamo anche fatto).
Ogni bel gioco però dura poco, e dopo un'oretta di quello svago (!) ci eravamo stufati e incominciavamo a pensare a come sbarazzarci del volatile. Gira e gira per Milano non troviamo un posto adatto, o almeno un posto che ci piaccia, e poi non avevamo ancora finito di ridere e di scambiarci battutacce... Però oramai era diventato tardi, il giorno dopo tutti avremmo dovuto andare in ufficio e quindi bisognava trovare un posto adatto per l'aquila: quasi davanti alla Basilica di Sant'Ambrogio, all'angolo con la via Lanzone c'è una cancellata che racchiude un triangolino di terra. Ho scoperto adesso, curiosando su Google Earth, che nella casa dalla quale si diparte il cancello abitò Francesco Petrarca. Su quel cancello che ha delle lance (ho trovato la foto, sempre su Google Earth: eccola:)

Immagine

abbiamo impalato la povera bestia. Ci siamo sempre domandati quali fossero state le reazioni dei primi passanti al mattino successivo (non credo proprio che ci abbiano giudicato molto furbi...).
Comunque io, anche negli anni successivi, quando passavo davanti a quel cancello, non riuscivo a trattenermi dal ridere.
Avatar utente
danielegr
 
Messaggi: 293
Images: 40
Iscritto il: ven nov 30, 2007 20:13 pm
Località: 43 54 26,81N 7 56 25,35E Altitudine 184 m.

Messaggioda giorgiolx » mer lug 07, 2010 16:49 pm

http://www.youtube.com/user/Modisca#p/u/7/VjYoH07PABk
[youtube]http://www.youtube.com/v/VjYoH07PABk[/youtube]
vado a uccidere il frigorifero che mi sta fissando

Chianti Risotto Polenta
Avatar utente
giorgiolx
 
Messaggi: 14731
Images: 68
Iscritto il: gio ago 09, 2007 17:10 pm
Località: 1060 West Addison

Messaggioda danielegr » lun lug 12, 2010 19:44 pm

Grazie Giorgio per quel filmato: Ho sentito che il Nandino Nusdeo ha fatto come sua prima corda doppia quella dall'Elisabetta. Beh, anche per me è stato così: è stata la Torre Elisabetta sul Resegone il mio battesimo della corda doppia, anche se questa è purtroppo l'unica cosa che mi avvicina a Nusdeo.
Il mio amico e collega Alfredo ed io eravamo appassionati di montagna, lui era un po' più esperto di me per precedenti attività nella Bergamasca, ma la praticavamo solo a livello escursionistico. Ci rodeva però la passione per la roccia, cercavamo in tutti i modi di avvicinarla, ma capivamo che sarebbe stato troppo imprudente azzardarci a farlo da soli. Ci limitavamo a salite che avessero qualche passaggio, sul genere del Buco della Carlotta o del Caminetto in Resegone. Già, proprio il Resegone era una delle nostre mete preferite: la capanna Monzesi il nostro punto di appoggio e la Pepina, la moglie del gestore della Monzesi quella che ci serviva una stupenda mistura di birra e gazosa (ho recentemente scoperto che adesso la chiamano ?Radler?) in gigantesche marmitte, quelle della pastasciutta, dalla quale si beveva a turno. Che buona che era, soprattutto dopo aver sudato come una fontana per aver risalito il cosiddetto ?Prà de Ratt?! Per i non lombardi: era così chiamato un pendio, salendo da Calolziocorte, che poteva quasi sembrare un prato (Prà) molto ripido che sembrava adatto ad essere risalito solo dai topi (Ratt). C'era modo di evitarlo usando un sentiero abbastanza comodo, ma parecchio più lungo. A noi però piaceva di più fare la via diretta.
Bene, una volta Alfredo e io siamo arrivati alla Monzesi, senza sapere bene cosa avremmo potuto fare. E' arrivato anche un altro ragazzo, molto più esperto di noi di roccia, che avrebbe voluto cimentarsi su qualche via impegnativa ma, non ricordo se perché il tempo non prometteva bene o perché non era arrivato il suo compagno, si era trovato ?disoccupato?. La signora Pepina e il marito lo hanno allora convinto a caricarsi sul groppone i due pivellini e a portarli , appunto, sull'Elisabetta. Alfredo e io figurarsi se ce lo siamo fatti dire due volte...
La Torre Elisabetta è un torrione accanto al passo del Fo, una mezz'oretta dalla Monzesi, un centinaio di metri di arrampicata, difficoltà per quanto ricordo intorno al terzo grado con un passaggio (uno strapiombino sul quale abbiamo trovato l'unico chiodo della via) che sarà stato un quarto, forse quarto superiore.
La salita scorre senza particolari problemi, Alfredo e io siamo felicissimi, un po' meno forse il nostro capocordata che probabilmente si aspettava dei compagni un po' più svelti.
Arrivati in cima il nostro capocordata (peccato non ricordarne il nome: sarà successo nel 1957) incomincia a predisporci per le doppie. La prima doppia dall'Elisabetta si fa mediante un chiodo che era piantato sulla vicina torre CAI ed è totalmente nel vuoto.
Ci ha dato alcune istruzioni di base, ha controllato che le corde fossero messe correttamente e poi... via!! Avevo il cuore che batteva all'impazzata, però dopo i primi due o tre metri ho superato le mie paure e sono sceso bene, anche divertendomi. La seconda doppia, per quanto ricordo, era abbastanza semplice e siamo arrivati alla base in breve tempo. Abbiamo ripetuto negli anni successivi varie volte la salita alla torre Elisabetta ma naturalmente non abbiamo più avuto le stesse emozioni dei primi metri di quella prima corda doppia.
Avatar utente
danielegr
 
Messaggi: 293
Images: 40
Iscritto il: ven nov 30, 2007 20:13 pm
Località: 43 54 26,81N 7 56 25,35E Altitudine 184 m.

Messaggioda danielegr » lun lug 12, 2010 19:45 pm

Beh il messaggio è partito due volte: visto che è successo ne approfitto per ricordare che in quegli anni non si usavano ancora imbragature, discensori o altri strumenti per facilitare la discesa. Come dissi già in un precedente post si passava la corda doppia intorno ad una gamba, poi davanti al petto fino alla spalla opposta alla gamba e poi la corda ritornava vicino alla gamba di partenza. La mano che teneva la corda in basso, quella vicino alla gamba di partenza, fungeva da freno. La velocità di discesa comunque si poteva regolare aumentando o diminuendo l'attrito sulla schiena. Con quella mano si poteva infatti avvicinare o allontanare la corda aumentando o diminuendo la zona di attrito. L'altra mano, quella in alto, aveva la funzione di evitare il ribaltamento all'indietro del corpo dell'alpinista. Si poteva, in caso fosse necessario piantare un chiodo o fare altre manovra, con la mano in basso prendere sia la corda che scendeva che quella che saliva, avendo quindi in mano quattro corde. Questo bloccava la discesa e lasciava una mano libera per le eventuali manovre.
Avatar utente
danielegr
 
Messaggi: 293
Images: 40
Iscritto il: ven nov 30, 2007 20:13 pm
Località: 43 54 26,81N 7 56 25,35E Altitudine 184 m.

Messaggioda danielegr » mar lug 20, 2010 15:50 pm

Innanzi tutto mi scuso per l'infima qualità dell'immagine, ma state un po' a sentire come l'ho ricavata. Ho ritrovato dei vecchi negativi (direi del 1955/1956, forse 1957) che dopo aver subito diversi traslochi erano rimasti in condizioni miserevoli infognati in qualche armadio esposti sia al caldo che al freddo, a parte il fatto che alcuni di questi negativi probabilmente erano caduti in terra e qualcuno ci aveva camminato sopra, o almeno si era divertito a cospargerli di polvere.
Oltre a questo non intendo comperare uno scanner di quelli con retroilluminazione speciali per scannerizzare diapositive perché sarebbe di scarso utilizzo e quindi mi sono limitato ad adagiare i negativi sul mio scanner piano e poi a cercare di migliorare la qualità con un normale programma di fotoritocco.
Immagine
Tutta questa (inutile) chiacchierata solamente per presentare questa foto, che non ho idea di chi rappresenti (manca la testa...): non credo proprio di essere io perché assolutamente non usavo calze corte in montagna, anzi, spesso ne usavo un paio che coprivano anche il ginocchio. Nella foto si vede abbastanza bene come era il gioco delle corde per la discesa in corda doppia. La mano sinistra era in basso e avvicinandosi o allontanandosi dal torace diminuiva o aumentava l'attrito della corda sul corpo e di conseguenza accelerava o rallentava la discesa. Nella foto l'ignoto soggetto, siccome era quasi arrivato al punto di sosta ha la mano che quasi avvolge il torace, e quindi è quasi fermo. La corda direi che era quella di canapa che avevo in quegli anni: quaranta metri e dieci millimetri. Pesava un'iraddiddio!!
Dalla foto non si capisce bene se la corda scorreva intorno alla gamba oppure in un moschettone, sembrerebbe più probabile la seconda ipotesi. La cosa però mi meraviglia molto, perché non avrei mai permesso di farlo su una corda mia. Infatti, poiché le fibre della canapa sono abbastanza corte, mi pare intorno ai 40-50 centimetri, e sono intrecciate una con l'altra, queste fibre scorrendo sul moschettone e facendo un angolo molto piccolo, tendono a sfilarsi con gravi conseguenze sulla resistenza e durata della corda.
Forse non ho mai precisato che i pantaloni erano alla zuava: quindi arrivavano un po' sotto al ginocchio. Alcuni avevano dei bottoni, appunto sotto al ginocchio, altri invece un elastico. Quando si arrivava al rifugio era buona norma slacciare l'abbottonatura al ginocchio e, eventualmente, anche abbassare i calzettoni, in modo da favorire la circolazione del sangue lungo la gamba. Questo poi era tassativo se si fosse andati a dormire: provare a dormire tenendo allacciati i pantaloni sotto al ginocchio e con i calzettoni non abbassati voleva dire che il giorno dopo si avrebbero avuto le gambe stanchissime, proprio per la maggiore difficoltà nella circolazione del sangue che avrebbe dovuto portare via le tossine della fatica. Naturalmente nel rifugio si dormiva vestiti: ci si toglievano solo gli scarponi, spesso la giacca a vento, la cintura, eventuali foulard, cioè qualsiasi cosa che potesse rallentare la circolazione.
Avatar utente
danielegr
 
Messaggi: 293
Images: 40
Iscritto il: ven nov 30, 2007 20:13 pm
Località: 43 54 26,81N 7 56 25,35E Altitudine 184 m.

Messaggioda danielegr » dom set 12, 2010 9:26 am

Oggi non parlerò delle mie cosiddette ?imprese? alpinistiche, e nemmeno di alpinismo in generale. Vorrei però ricordare un Eroe (la maiuscola è voluta e ampiamente meritata) che con le sue imprese ha salvato oltre seicento alpinisti, e ha inaugurato un nuovo sistema per il salvataggio in montagna e che purtroppo oggi è quasi dimenticato (anche Wikipedia lo ignora). Mi riferisco a Hermann Geiger, noto anche come ?L'Aquila di Sion?, ?il Pilota dei Ghiacciai? ecc. . Era nato il 27 Ottobre 1914 vicino a Sion (Svizzera), conseguì il brevetto di pilota nel 1938 e lavorò come guardiano dell?aeroporto civile di Sion dal 1947, dopo essere stato agente di polizia. Dopo poco diviene istruttore di volo, capo pilota dell?aeroclub e capo responsabile dell?aeroporto Fu in quell'occasione che nell'inverno molto nevoso del 1950-1951 pilotando un Cessna attrezzato per lo sgancio di materiale, acquisì una grande esperienza nel volo in montagna, rifornendo i villaggi rimasti isolati a causa delle nevicate, fra i quali Zermatt. Concepì così l'idea audace di dotare alcuni aerei molto leggeri di sci per ?atterrare? anche sulla neve, senza però togliere il carrello, necessario per atterrare e decollare dall'aeroporto. La cosa divenne possibile utilizzando un aereo Piper Cub e il 10 Maggio 1952 Geiger poté atterrare per la prima volta su un ghiacciaio e successivamente gli atterraggi si moltiplicarono e con essi i salvataggi di alpinisti in difficoltà o infortunati in alta montagna. Ricordo anche di aver letto su un antichissimo Selezione la descrizione della sua tecnica: cercava un nevaio che avesse una pendenza compresa entro certi parametri, atterrava in salita, in modo da ridurre lo spazio di atterraggio, sistemava l'aereo di traverso alla linea di massima pendenza, recuperava l'alpinista, girava a mano l'aereo e ripartiva in discesa, in pratica gettandosi nel vuoto. Che coraggio e che abilità!!
Geiger oltre alle difficoltà tecniche di atterraggi simili dovette superare anche notevoli difficoltà burocratiche, perché non era permesso ad un aereo di atterrare se non in un aeroporto attrezzato.
Morì il 26 Agosto 1966, a 52 anni: in qualità di istruttore con un'allieva in fase di decollo dall'aeroporto di Sion il suo aereo urtò un aliante in fase di atterraggio
A questo indirizzo http://archives.tsr.ch/player/personnalite-geiger c'è un video del 1958 nel quel viene ripreso Geiger durante alcuni dei suoi voli e una lunga intervista, purtroppo in francese. Dura una mezz'oretta e verso il decimo minuto è evidenziata la tecnica usata sia per l'atterraggio che per la ripartenza dell'aereo dal nevaio.

[img][img]http://img192.imageshack.us/img192/5479/senzatitolo1cl.png[/img]

Uploaded with ImageShack.us[/img]
Avatar utente
danielegr
 
Messaggi: 293
Images: 40
Iscritto il: ven nov 30, 2007 20:13 pm
Località: 43 54 26,81N 7 56 25,35E Altitudine 184 m.

Messaggioda n!z4th » dom set 12, 2010 9:46 am

Leggerti è un onore :D

E quella dalla finestre del CAI in Galleria è qualcosa di magnifico, magari l'aveste documentata con foto :D (sicuramente qualche passante avra scattato 8) )
Michele
Avatar utente
n!z4th
 
Messaggi: 15825
Images: 8
Iscritto il: sab set 17, 2005 17:22 pm
Località: Varese

Messaggioda danielegr » dom set 26, 2010 15:45 pm

Mi è capitata sott'occhio questa antica fotografia del ghiacciaio del Ventina:

Immagine scattata il 1/7/1916

(a proposito, suggerisco un giretto sul sito http://www.gusme.it/ , sulla destra ci sono i link ad alcune sezioni nelle quali si trovano delle godibilissime immagini della prima metà del secolo passato) e, cercando in giro mi è venuto naturale confrontarla con quest'altra, scattata circa novant'anni dopo: nel 2007
Immagine

E' evidente a tutti non solo quanto si sia ritirata la lingua terminale del ghiacciaio, ma anche la differenza di innevamento sulle cime intorno. La prima, quella del 1916, assomiglia molto al ricordo del ghiacciaio che ho dalla prima volta che ci sono andato, nella seconda metà degli anni '50: non mi pare di vedere grandi differenze nell'innevamento. Il ghiacciaio incominciava poco sopra il Rifugio Porro, una ventina di minuti di cammino o poco più, se ricordo bene.
Non ero molto esperto di ghiaccio, quindi quando due amici, Paolino e Eugenio, invece molto forti su quel tipo di salita, mi hanno offerto di salire con loro la Nord Ovest del Cassandra, non me lo sono fatto dire due volte.
Quindi dal Porro su per la lingua del ghiacciaio, partendo molto presto, con condizioni di neve e di tempo ottimali e arriviamo alla base della parete. Brevissimo consulto: con queste condizioni i ramponi è meglio lasciarli nello zaino e si parte. Andiamo di conserva visto che la pendenza non è eccessiva e che condizioni di neve migliori sarebbero impossibili da trovare, però, accidenti, Paolo e Eugenio non sono due alpinisti, sono due locomotive umane!! Salgono che sembra che abbiano preso l'ascensore e io, poveretto, faccio fatica a stargli dietro. Finalmente arriviamo in vetta (la mia lingua era ancora a metà parete... però ero riuscito bene o male a tenere il passo di quei due energumeni). Poi discesa per la normale e ritorno al rifugio Porro, che raggiungiamo circa alle 8 di mattina. Commento del Paolino: Noi abbiamo già finito e stiamo tornando a casa e quelli lì si stanno ancora fregando gli occhi...
Avatar utente
danielegr
 
Messaggi: 293
Images: 40
Iscritto il: ven nov 30, 2007 20:13 pm
Località: 43 54 26,81N 7 56 25,35E Altitudine 184 m.

Messaggioda ctrl_alt_canc. » dom set 26, 2010 19:44 pm

ti prego scrivi il più possibile! Adoro questi ricordi che ci riporti... :smt111
ctrl_alt_canc.
 
Messaggi: 15
Iscritto il: sab set 25, 2010 10:48 am

Messaggioda danielegr » mer set 29, 2010 20:39 pm

27/9
Domattina partirò per Milano: vedrò due dei miei amici dei tempi andati: Alfredo e Angiolino. Alfredo avevo avuto modo di incontrarlo per un'oretta un paio di anni fa, ma Angiolino non lo vedo almeno dal 1966. E' passata un'intera vita; poco meno di mezzo secolo. Quanto sono cambiati i miei amici? e quanto sono cambiato io? Credo che staremo bene insieme, davanti a una buona cena doverosamente innaffiata, ma non ci troveremo un po' a disagio vedendo quanto siamo cambiati? Eravamo pieni di energia, volevamo conquistare il mondo intero e oggi, nel preparare la valigia, lo spazio maggiore l'ho riservato al pigiama e alle medicine...
29/9 ore 20.30 sono appena rientrato a casa: sto saltando dalla gioia!! L'Angiolino mi ha fatto una sorpresa che più bella non si poteva: ha trovato e invitato alla cena ? sapete chi? Ma Lui!! il mitico Valerio!! Il mio istruttore alla Parravicini!! Non ci vedevamo da mezzo secolo e poiché Valerio ha un cognome abbastanza comune, almeno nel Milanese, non speravo di riuscire a beccarlo su Internet.
Quindi Angiolino, che ha qualche anno più di me dice: allora Daniele, tu sei il mio papà alpinistico, Valerio è stato il tuo, e quindi è anche mio nonno. Ma alura cuma l'è che mi sun pü se vecc del me nonu? (non mi pare necessario tradurre).
E' stata una serata magnifica, mi è quasi sembrato di tornare giovane o almeno per qualche ora ne ho avuto l'illusione.
Mi direte: bravo Daniele, ma questo cosa diavolo c'entra con l'alpinismo ?d'antan??
Non lo so e non mi interessa: a qualcuno però dovevo pur raccontarlo.
Avatar utente
danielegr
 
Messaggi: 293
Images: 40
Iscritto il: ven nov 30, 2007 20:13 pm
Località: 43 54 26,81N 7 56 25,35E Altitudine 184 m.

Messaggioda danielegr » ven ott 08, 2010 12:44 pm

Racconto un'altra delle mie ?avventure? in montagna: avevamo appena finito la Parravicini, io e Roberto facevamo coppia fissa visto che eravamo entrambi stati allievi dello stesso istruttore, ci sembrava di andare abbastanza bene ma sentivamo che un po' più di esperienza trasmessaci da qualche ?anziano? non ci avrebbe certo fatto male. Quindi quando una sera alla settimana ci si riuniva al CAI stavamo con le orecchie tese per sentire se avremmo potuto accodarci a qualche anziano per fare insieme qualche salita e intanto fare esperienza. Angelo M., che non era un grande alpinista (lo diceva lui stesso) ma certo era molto più avanti di noi un bel giorno accennò alla via Bonacossa sul Cengalo e disse che gli sarebbe piaciuto farla, ma non aveva il compagno. E noi allora cosa ci stiamo a fare? Eccoci pronti!!
Angelo dice: d'accordo, però se trovate un quarto è meglio, facciamo due cordate di due e andiamo via più veloci. Non è un problema, il quarto è subito trovato, Giovanni M. Allora non resta che partire: arriviamo belli pimpanti alla Giannetti e il Fiorelli ci da le solite informazioni sulla via che avremmo dovuto fare il giorno dopo, dopo di che tutti a nanna. Al mattino io mi sento un po' strano: non capisco che cosa c'è ma certamente non sono nella mia forma migliore, quindi Roberto, mi sa che tutta la via la dovrai ?tirare? tu. Roberto mi guarda strano: come sarebbe a dire? Siamo sempre andati a comando alterno, anzi, cercando di ?fregarci? l'un l'altro i tiri più belli e adesso così, come se niente fosse rinunci? Infatti rinuncio...
L'attacco è raggiunto abbastanza in fretta, parte Angelo con Giovanni e di seguito Roberto e io. La salita è bella, su un ottimo granito, difficoltà contenute, direi intorno al terzo-quarto grado, chiaramente riferendomi ai gradi dei miei tempi.

E qui vorrei, se me lo permettete, inserire una punta polemica: è chiaro che i gradi e la valutazione delle difficoltà in mezzo secolo siano cambiate, mi sta bene che si parli, come ho pressappoco letto in una discussione, di essere una ?pippa? se non si riesce a superare il 6a oppure il 9a+b. Mi disturba invece sentire dire: andiamo a fare un 8a, siamo stati bravi perché abbiamo fatto un 7c (o qualcosa di simile). In sostanza, non mi piace vedere anteporre la difficoltà alla via. La difficoltà, a mio parere, non è mai classificabile con precisione: se quel giorno ho mal di pancia troverò difficilissima quella salita che ieri mi sembrava banale. La ?via?, invece, è una parte delle Montagna, è un qualcosa che va vissuto, con tutte le sue difficoltà e con tutte le sue bellezze, è un qualcosa che arricchisce lo spirito, non è solo un esercizio atletico.
Fine della brontolata, fermo restando che ognuno, particolarmente in montagna, è libero di comportarsi e di pensarla come gli sembra più giusto.

Non ho un ricordo preciso di come fosse la via: andando sempre da secondo stavo poco attento allo svolgimento della salita, è compito del primo cercarlo e trovarlo, e poi ero troppo occupato a tenere a bada il mio stomaco...
Arriviamo finalmente in vetta, il tempo è ottimo e c'è un bellissimo mare di nuvole qualche centinaio di metri sotto di noi. Io però una volta arrivato sto male, e vomito. Quindi in vetta al Cengalo ci sono quattro persone: Angelo, Roberto e Vanni che mangiano a quattro palmenti, e che guardano in cagnesco Daniele che, un po' scostato, vomita di tutto e di più... E, per di più ce l'avevano con me perché, dicevano, gli rovinavo il pasto!!

Per la discesa non c'è storia: una banale discesa nella quale, se ricordo bene, non c'era necessità di fare nessuna doppia. Però in quella discesa, anni dopo, quattro alpinisti lombardi durante una tormenta persero la strada e morirono in maniera orrenda. (http://www.forum.planetmountain.com/php ... 968#934968)
Avatar utente
danielegr
 
Messaggi: 293
Images: 40
Iscritto il: ven nov 30, 2007 20:13 pm
Località: 43 54 26,81N 7 56 25,35E Altitudine 184 m.

Messaggioda LM81 » ven ott 08, 2010 16:10 pm

danielegr ha scritto:... Mi disturba invece sentire dire: andiamo a fare un 8a, siamo stati bravi perché abbiamo fatto un 7c (o qualcosa di simile). In sostanza, non mi piace vedere anteporre la difficoltà alla via. La difficoltà, a mio parere, non è mai classificabile con precisione: se quel giorno ho mal di pancia troverò difficilissima quella salita che ieri mi sembrava banale. La ?via?, invece, è una parte delle Montagna, è un qualcosa che va vissuto, con tutte le sue difficoltà e con tutte le sue bellezze, è un qualcosa che arricchisce lo spirito, non è solo un esercizio atletico.
Fine della brontolata...


Bellissimi racconti e parole sante :D
LM81
 
Messaggi: 101
Iscritto il: lun feb 02, 2009 17:48 pm

Messaggioda danielegr » mar ott 19, 2010 9:39 am

Il ?Gigiatt? o ?Gigiat: una leggenda valtellinese
Tipicamente nella val Malenco e nella val Masino nasce la leggenda del Gigiat. Chi è costui? E' descritto come un essere gigantesco, mezzo uomo e mezzo capra, molto timido ma curiosissimo e sgraziato nei movimenti. E' un po' considerato quasi il nume tutelare della valle, un po' come un essere che è meglio non infastidire ma fondamentalmente buono. Secondo la leggenda poteva risalire la valle con pochi balzi.
Sulla parete di una casa di San Martino, all?imbocco della Val di Mello c'è questa scritta: ?El Gigiat, nume tutelare de esta splendida valle. Buono con lo homo che natura rispetta, mala sorte a chi lo trovasse non rispettoso. Onori et gloria a chi el vedesse e notizia ne desse??

Immagine




Stranamente mentre in Val Masino il Gigiat viene nominato tranquillamente, al punto che esiste a Bagni Masino una ?Taverna del Gigiat?, in val Malenco il suo nome sembra essere tabù. Ricordo che stuzzicavamo la Celesta, la mitica custode del rifugio Tartaglione Crispo, quella che aveva il miglior salame e prosciutto di tutta la vallata e che ogni tanto ce li forniva insieme a una polenta taragna degna dell'Olimpo... mhhh mi viene ancora l'acquolina in bocca...
La Celesta o non rispondeva oppure sviava il discorso, facendo capire che ?di quelle cose non si parla?.
Dunque, ricostruisco a memoria quello che mi dicevano i vecchi quando io ero giovane, pertanto potrei incorrere in qualche inesattezza, anche se ho cercato di limitarle con San Google. Il rifugio Tartaglione Crispo è stato costruito intorno al 1954 o 1955, ad opera della SUCAI di Milano. Prima c'era un altro rifugetto, che credo fosse sede della scuola Parravicini: il nome dovrebbe essere Rifugio Santa all'Alpe Zocca. Questo rifugio, molto spartano, mi dicono che non fosse dotato dei servizi igienici, come del resto quasi tutte le case della valle. Quindi un biondo e volonteroso sucaino si incaricò di portare su, a spalla ovviamente, un cesso, probabilmente una ?turca?. Per inciso da quel momento il ragazzo in questione venne da tutti soprannominato ?el biund del cess?.
Una cosa del genere non si era mai vista in Val Sissone!! Tutti gli abitanti corsero fuori per veder passare ?el biund del cess?. Anche il Gigiat, notoriamente curiosissimo e maldestro volle affacciarsi al Passo di Mello per vedere questa cosa strana e così facendo provocò quella valanga d'acqua che di lì a poco distrusse il rifugio Santa. In effetti pare che sotto al ghiacciaio del Sissone si fosse formato una specie di lago sotterraneo, lago che a un certo punto sfondò lo sbarramento e facendosi strada verso il Mallero travolse fra l'altro il rifugio, rendendo necessaria la costruzione del nuovo, appunto il Tartaglione Crispo.
Avatar utente
danielegr
 
Messaggi: 293
Images: 40
Iscritto il: ven nov 30, 2007 20:13 pm
Località: 43 54 26,81N 7 56 25,35E Altitudine 184 m.

Messaggioda Danilo » gio ott 21, 2010 0:16 am

Storiella assai curiosa quella del "cesso" ,mi ricorda una storia simile ma praticata una ventina di anni dopo il fatto della Val Sissone su una via di roccia rinomatissima......:lol:

Crispo e Tartaglione......presumo siano due cognomi....ma che fecero o meglio ancora,chi erano 'sti due? :wink:
il forum è morto
Avatar utente
Danilo
 
Messaggi: 7425
Images: 61
Iscritto il: gio lug 26, 2007 17:44 pm

Messaggioda danielegr » gio ott 21, 2010 10:37 am

Non ho purtroppo molte informazioni su chi furono Luciano Tartaglione e Luciano Crispo. Ricordo di aver visto le loro foto all'ingresso del rifugio intitolato al loro nome, appena entrati sulla destra, però non ho altri dati. Dovrebbero essere stati due soci della SUCAI (Sottosezione Universitaria del CAI) di Milano, caduti in montagna, ma questo era intuibile.
Non ho altre notizie e mi spiace.
Avatar utente
danielegr
 
Messaggi: 293
Images: 40
Iscritto il: ven nov 30, 2007 20:13 pm
Località: 43 54 26,81N 7 56 25,35E Altitudine 184 m.

Messaggioda giorgiolx » gio ott 21, 2010 10:41 am

danielegr ha scritto:Non ho purtroppo molte informazioni su chi furono Luciano Tartaglione e Luciano Crispo. Ricordo di aver visto le loro foto all'ingresso del rifugio intitolato al loro nome, appena entrati sulla destra, però non ho altri dati. Dovrebbero essere stati due soci della SUCAI (Sottosezione Universitaria del CAI) di Milano, caduti in montagna, ma questo era intuibile.
Non ho altre notizie e mi spiace.


sucai? :roll:
vado a uccidere il frigorifero che mi sta fissando

Chianti Risotto Polenta
Avatar utente
giorgiolx
 
Messaggi: 14731
Images: 68
Iscritto il: gio ago 09, 2007 17:10 pm
Località: 1060 West Addison

Messaggioda danielegr » sab ott 30, 2010 15:06 pm

Rileggendo quello che avevo scritto sul Gigiat mi è venuta curiosità di saperne di più, quindi un paio di ricerchine su Google mi hanno fornito queste ulteriori informazioni:

Forse all'origine della credenza del Gigiàt c'è una colossale burla, ai danni di un ricchissimo e stravagante conte morbegnese, che si vantava di aver raccolto nella sua dimora tutto quanto di più curioso e raro la terra di Valtellina potesse offrire. Autori della burla due abitanti di San Martino, che gli dissero di aver visto, nei pressi del pizzo Badile, un animale spaventoso, enorme, dal pelo caprino lunghissimo e nero e dalle narici vomitanti fiamme. Il conte arse allora dal desiderio di poter arricchire la sua raccolta di rarità catturando quell'animale prodigioso, ed anticipò una cospicua somma di denaro ai due, purché si impegnassero a catturarlo. E' facile intuire quel che accadde: del Gigiàt e dei due non si vide più neppure l'ombra, e da allora sono trascorsi due secoli buoni, senza che nessuno abbia saputo portare prove attendibili sull'esistenza del fantomatico animale.

Però il Gigiat è veramente riapparso. A parte la leggenda, mi pare dell'800, di un Gigiat catturato e portato a valle che sarebbe morto quasi subito di ... raffreddore, chiaramente solo una leggenda, si narra che al carnevale di Morbegno nel 1956 sfilò, infatti, fra la sorpresa e l?ilarità di tutti, un esemplare di Gigiat incatenato e condotto da due abitanti di S. Martino, che volevano, così, assestare un sonoro schiaffo morale a tutti quei Morbegnesi che, prendendo spunto dall?episodio sopra narrato, andavano dicendo, dei ?Valöcc? (cioè degli abitanti di Val Masino), che sono persone inaffidabili. Ecco, costoro dovevano ora ricredersi: alla fine l?animale, catturato, era stato portato a Morbegno, come qualche generazione prima era stato promesso. Si trattava, in realtà, di un asino ricoperto di pelli, condotto da un cacciatore con il fucile di legno e da un aiutante, che tentò, anche, di mungerlo. Fra le risate di tutti, la mungitura non riuscì, perché il freddo aveva congelato il latte nelle mammelle (ovviamente posticce). Senza scomporsi, però, l?aiutante corse a comperare del latte appena munto e lo inserì nelle finte mammelle: alla fine anche il latte del Gigiat venne, così, pubblicamente munto.
Rimase, a ricordo dell?epica impresa, una poesiola in dialetto, riportata nel bel libro di Mario Songini ?La Val Masino e la sua gente? (aprile 2006):
?L?è scià el Gigiàt de San martìn
l?è ?na bestia düra
che a tüti la fa pagüra.
L?em ciapä e encatenä
e a Murbegn, al carnevä,
l?em portä.
El so lac ?l?è tant fregè
che senza el quac? al sé quagè?

(E? qui il Gigiàt di San Martino/è una bestia dura/che a tutti fa paura./Lo abbiamo preso e incatenato/e a Morbegno, al carnevale,/l?abbiamo portato./Il suo latte è tanto raffreddato/che senza il caglio è cagliato?).
Avatar utente
danielegr
 
Messaggi: 293
Images: 40
Iscritto il: ven nov 30, 2007 20:13 pm
Località: 43 54 26,81N 7 56 25,35E Altitudine 184 m.

PrecedenteProssimo

Torna a Arrampicata in montagna

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Google [Bot] e 9 ospiti

Forum.Planetmountain.com

Il Forum è uno spazio d’incontro virtuale, aperto a tutti, che consente la circolazione e gli scambi di opinioni, idee, informazioni, esperienze sul mondo della montagna, dell’alpinismo, dell’arrampicata e dell’escursionismo.

La deliberata inosservanza di quanto riportato nel REGOLAMENTO comporterà l'immediato bannaggio (cancellazione) dal forum, a discrezione degli amministratori del forum. Sarà esclusivo ed insindacabile compito degli amministratori stabilire quando questi limiti vengano oltrepassati ed intervenire di conseguenza.